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Valentino, nato a Cassano d'Adda il 26 gennaio 1919 da una famiglia di umili origini - il padre Alessandro era operaio all'ATM e morì nell'agosto 1940 investito da un camion, mentre la madre si chiamava Leonina Ratti -, divenne grande troppo presto. Quando aveva poco più di 10 anni, infatti, a causa del licenziamento del padre dovette rimboccarsi le maniche lasciando la scuola per aiutare la famiglia, completata dai quattro fratelli: Piero, Silvio, Carlo e Stefano. Dapprima garzone di un fornaio e poi impiegato al lanificio di Cassano d'Adda, Mazzola vestì i panni dell'eroe già quando di anni ne aveva solo dieci: nell'estate del 1929, infatti, si gettò nelle acque del fiume Adda salvando la vita a un suo compaesano di quattro anni più giovane che stava annegando: si trattava di Andrea Bonomi, futuro calciatore e capitano del Milan. Un gesto di enorme altruismo che anticipa quello che il calciatore Valentino Mazzola sarebbe stato in campo: colui il quale era pronto a dare fino all'ultima goccia di sudore per aiutare i compagni, il primo ad andare in battaglia portandosi dietro i propri fedelissimi.
Il calcio è la sua grande passione tanto che non si separa mai dalla sua lattina con la quale si allena per strada calciandola di collo col destro e poi col sinistro. Un passatempo che gli fa guadagnare il soprannome di Tulen, il lattoniere. Ancora adolescente, muove i primi passi nella squadra locale, la Tresoldi. Con il pallone ci sa fare e a 19 anni un osservatore dell’Alfa Romeo, proprietaria di una compagine aziendale che milita in Serie C, lo nota. L’offerta è di quelle irrinunciabili: posto di lavoro nelle fabbriche di Arese e maglia da titolare nell’Alfa Romeo. Mazzola ovviamente accetta e rifiuta anche la proposta del Milan per tutelare il posto fisso.
A spostarlo ci pensa però la Regia Marina quando nel 1939 Valentino è costretto a trasferirsi a Venezia per il servizio militare, prendendo anche la licenza elementare studiando la sera. Di giorno, però, lo svago della caserma è il calcio e in quel campo Mazzola non ha eguali. Nessuno riesce a stargli dietro e quel talento puro non può passare inosservato, così viene consigliato ai dirigenti del club lagunare che organizzano un provino. Valentino si presenta scalzo, non può rovinare l'unico paio di scarpe di cui dispone. Nonostante ciò stupisce l’allenatore Giuseppe Girani che parlando col presidente dice: «Prendiamolo, prendiamolo…». È una promozione a metà dato che Mazzola viene inserito nella squadra riserve. Le sue enormi doti, però, meritano un altro palcoscenico, quello della Serie A, che Tulen conosce il 31 marzo 1940 nella trasferta di Roma contro la Lazio. Alla penultima giornata, 26 maggio, contro il Bari segna il suo primo gol nella massima serie, quello che regala il 2-1 e la salvezza al Venezia e che gli garantisce la riconferma. Intanto in Laguna incontra il compagno di mille avventura, il fedele scudiero nella vita e nella morte Ezio Loik. Inizia un sodalizio incredibile che porta il club alla vittoria della Coppa Italia nel 1941 e al terzo posto la stagione seguente. Alla terzultima giornata, 31 maggio 1942, sono loro due a guidare la rimonta del Venezia contro il Torino consegnando praticamente lo scudetto alla Roma. Il presidente dei granata Ferruccio Novo scende negli spogliatoi e acquista i due talenti strappandoli alla concorrenza della Juventus per un totale di un milione e duecentomila lire più Walter Petron e Raul Mezzadra. Quel giorno nasce la leggenda del Grande Torino.
Trasferitosi al Torino, Valentino Mazzola diventa leader e capitano dei granata e simbolo della Nazionale con la quale, a causa della Secondo Guerra Mondiale, riesce a totalizzare appena 12 presenze, tutte in gare amichevoli, e quattro reti. È un giocatore avanti già di 50, forse 60 anni: sa fare bene tutto. Capace di segnare una tripletta al Vicenza in soli tre minuti (record italiano) il 20 aprile 1947, in un derby di quegli anni salva sulla linea un tiro a botta sicura di Giampiero Boniperti che, sconsolato, china il capo ma pochi secondi dopo deve rialzarlo per il boato del Filadelfia che festeggia la rete di... Valentino Mazzola. Proprio lui, proprio quello che pochi secondi prima si trovava a difendere nella propria area di rigore. Successivamente, l'ex attaccante e poi presidente della Vecchia Signora di lui dirà: «Ancora adesso, se debbo pensare al calciatore più utile ad una squadra, a quello da ingaggiare assolutamente, non penso a Pelé, a Di Stefano, a Cruijff, a Platini, a Maradona: o meglio, penso anche a loro, ma dopo avere pensato a Mazzola». Valentino era un giocatore universale, faceva gol di destro, di sinistro, di testa, aveva coraggio, sapeva dribblare, lottava su ogni pallone, era altruista. Gianni Brera di lui scriverà: «Era un traccagno di piccola statura e tuttavia così dotato atleticamente da strabiliare. Scattava da velocista, correva da fondista, tirava con i due piedi come uno specialista del gol; staccava e incornava con mosse da grande acrobata, recuperava in difesa, impostava l’attacco e vi rientrava per concludere: era insieme il regista e il match winner d’una squadra che aveva pochissimi eguali al mondo». Ecco, Valentino Mazzola era tutto questo e tanto altro ancora.
In maglia granata vince cinque scudetti in sei stagioni e la Coppa Italia nel 1943 laureandosi capocannoniere della massima serie con 29 centri nel campionato 1946-47. Nel maggio del 1949 il Torino vola a Lisbona perché Mazzola ha organizzato un’amichevole: l’addio al calcio di Francisco Ferreira, capitano di Benfica e Portogallo. Valentino ha paura di volare, agli amici aveva detto «morirò giovane». Quasi un segno premonitore: sì, perché la fine di questa storia, purtroppo, è la peggiore che si possa immaginare. Dopo aver perso sul campo per 3-2 - secondo alcuni commentatori la squadra non si impegnò per non rovinare la festa del pubblico di casa -, la formazione di Egri Erbstein fa rientro in Italia il giorno seguente: 4 maggio 1949. Il trimotore Fiat G.212, prodotto dalle Avio Linee Italiane e con marche I-ELCE, decolla dall'aeroporto di Lisbona alle 9.40 e atterra alle 13:00 all'aeroporto di Barcellona. Alle 14.50 l'aereo riparte con destinazione Torino. Intanto le condizioni meteorologiche sul capoluogo piemontese precipitano velocemente: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità sui 40 metri rendono l'atterraggio più complesso mandando il tilt il comandante del velivolo, il tenente colonnello Pierluigi Meroni, e l'intero equipaggio. Alle ore 17.03 l'aereo, eseguita la virata verso sinistra e iniziata la manovra per l'avvicinamento, si schianta contro il terrapieno posteriore della basilica di Superga ad una velocità 180 km/h. Un boato scuote la città e la notizia rimbalza veloce di bocca in bocca: «Il Grande Torino, è precipitato il Grande Torino». Tocca al CT della Nazionale Vittorio Pozzo effettuare il riconoscimento delle vittime. Non si salvò nessuno: 31 morti tra calciatori, accompagnatori, giornalisti (Renato Casalbore, fondatore di Tuttosport; Renato Tosatti della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio Tosatti; e Luigi Cavallero, La Nuova Stampa) e i quattro membri dell'equipaggio. Finisce così, a soli 30 anni la vita di Valentino Mazzola, leggenda senza tempo.
Getty ImagesValentino Mazzola e il Grande Torino