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Dire Brasile è dire Mondiale, non solo perché ha partecipato a tutte le edizioni.
Ove il Qatar non arridesse, il Brasile pareggerebbe la sua massima astinenza da Coppa del Mondo, e sarebbe strano visto che l'Amarelinha è stata esportazione vincente al primo Mondiale americano (Usa 94) e asiatico (Giappone-Corea del Sud 02), nonché quella di Pelè, unico a cingere il capo con tre allori iridati, sola rappresentativa del Sud America a svettare nel Vecchio Continente (Svezia 58, episodio restituito dalla Germania nel 2014).
La qualificazione è stata da schiacciasassi: ancor più dei soli tre pareggi concessi a domicilio ad Argentina, Colombia e Ecuador, sono i 40 gol (Neymar a quota 8 e Richarlison 6 i frombolieri) e i 5 subiti a fotografarne il rendimento: e così lo stesso bilancio di Tite, che ha vinto (contro il Perù) e perso (contro l'Argentina) la Copa America nel frattempo, 58 vittorie, 13 pareggi e 5 sconfitte.
Ma non c'è da aspettarsi futbol bailado, né isteria carnevalesca nel calcio dell'ex allenatore del Corinthians, che chiuderà in Qatar il suo mandato: la terza via ancelottiana esige organizzazione difensiva, specificità nella preparazione e strategia europea, con ali tanto sguscianti quanto incisive.
Inutile parlare di avversarie, che nel ragguppamento iniziale eccetto il Camerun sono identiche, oppure di traguardi, perché a queste latitudini ogni eliminazione (vale per la caduta di Kazan contro il Belgio, tutt'altro che paragonabile al Mineirazo) fa scalpore e gli allenatori da bar in un Paese dalla mille potenzialità e contraddizioni sono di fatto il doppio di quelli italiani.
Parecchie le opzioni a disposizione e in considerazione, nonostante gli infortuni di Arthur e (forse) Paquetà: che spazio avranno Antony, Everton Ribeiro, Firmino, Fred, Gabriel Jesus, Renan Lodi, Richarlison e Rodrygo?
Formazione-tipo (4-3-3): Alisson; Danilo, Marquinhos, Thiago Silva, Alex Sandro; Fred, Casemiro, Fabinho; Raphina, Neymar, Vinicius.