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Sono passati 27 anni dalla morte di Ayrton Senna. Indimenticabile quel 1° maggio 1994, che costò la vita al campione dopo un incidente nel GP San Marino di F1, a Imola. A La Gazzetta dello Sport Giovanni Gordini, il medico che ha soccorso Senna, ha ricordato quei tragici momenti: “Senna respirava ancora autonomamente ma era entrato in coma: aveva perso molto sangue dalla ferita sopra all’occhio destro, oltre ad avere una frattura alla base del collo per colpa della sospensione che si era staccata dalla sua Williams. Le manovre di rianimazione erano già iniziate, ma lui non dava nessun segnale di vita. Capimmo tutti subito la gravità della situazione e decidemmo di fare scendere l’elicottero in pista per portarlo all’ospedale Maggiore. Fatto quasi unico, in F1 non ricordo dinamiche simili di salvataggio”.
Senna venne trasportato al Maggiore di Bologna: “Abbiamo portato subito Senna nell’emergency room del pronto soccorso e dopo avergli abbassato la parte superiore della tuta, abbiamo controllato il livello del sangue e fatto una Tac. Lì ci sono diverse camere, noi l’abbiamo messo in quella dell’accettazione. Quindi ci siamo diretti in rianimazione all’11° piano dell’ospedale. Eravamo in 10 ad assisterlo”.
I medici hanno tentato di tutto per salvarlo: “Abbiamo instancabilmente continuato con le manovre di rianimazione e fatto, con i macchinari a nostra disposizione, tutto quello che non si può fare direttamente sul luogo dell’incidente: ci siamo occupati degli accessi vascolari con delle infusioni nelle vie più stabili, cambiato la tracheotomia mettendone una più consistente, somministrato alcuni farmaci. Posso assicurarlo, le abbiamo provate tutte, ma non c’è stato nulla da fare. Con la morte celebrale di Senna e dopo che il suo cuore ha smesso di battere, ci siamo trovati di fronte a un altro arduo compito: dare l’annuncio della morte ai tantissimi presenti all’ospedale”.
C’è qualcosa che ha colpito Gordini particolarmente nelle ultime ore di Senna: “Senza dubbio l’ingresso in stanza di Berger. Mi fece impressione il fatto che è voluto a tutti i costi entrare per vedere un suo amico che stava morendo. Lui che era già stato ricoverato nella stessa camera nell’aprile 1989. Un gesto raro e pieno di significato. Io riuscii a parlarci poco, era di poche parole, rimase muto e addolorato in disparte. Non aveva voglia di conversare, sapeva già cosa sarebbe successo. Ricordo anche che venne il suo fisioterapista personale Josef Leberer, il manager Julian Jakobi e Watkins”.
Erano in tantissimi al Maggiore per spingere Senna verso una salvezza che sarebbe stata miracolosa: “Ho ancora chiare le immagini. Già al nostro arrivo da Imola, l’atrio dell’ospedale era pieno di persone che avevano visto in televisione l’incidente: l’unico mezzo di allora per sapere della notizia. Alcuni di loro rimasero a lungo anche nelle ore seguenti, tanto che facemmo un collegamento con la Rai per la Domenica Sportiva. Ayrton era amato e lo si vedeva anche in questo. Da quell’incidente è cambiata la F1, soprattutto dal punto di vista della sicurezza”.
Getty ImagesAyrton Senna